I Papi e la Civita
Il Beato Pio IX e San Giovanni Paolo II pellegrini al Santuario della Civita
Era il 10 febbraio 1849 quando il Papa Pio IX salì pellegrino al Santuario della Civita. Lo storico Mons. Ernesto Jallonghi così riporta nel suo “Cenni Storici” il racconto di quella giornata:
«Il Santuario conta molti visitatori illustri fra re, principi, arcivescovi, vescovi e uomini di sapere e di azione. Vi furono anche molti santi uomini, il Cardinale b. Paolo d’Arezzo, S. Paolo della Croce, il b. Errico dei SS. CC., la b. Maria de Mattias, il b. Gaspare del Bufalo, D. Giuseppe Addessi ed altri. Ma la pagina gloriosa della sua storia fu segnata dalla venuta dell’immortale Pontefice Pio IX.
Egli era a Gaeta nel 1849, quando accolse volentieri l’invito fattogli di salire sul celebre Santuario, di cui tanto aveva sentito parlare. In Itri si fecero grandi preparativi. Sulla piazza sorgeva un grandioso arco di trionfo, dopo un lungo porticato verdeggiante di mirto, in fondo al quale spiccavano il ritratto del Pontefice ed i busti dei Sovrani.
Il clero vi si era diviso ai fianchi in doppia fila, e dietro si accalcavano le autorità del distretto e del circondario. Le folle straordinarie si pigiavano d’ogni parte nelle vie e nella piazza, fervide di gioia.
A un tratto le campane della maggior chiesa di S. Angelo annunziarono che il Corteo si avanzava sulla strada provinciale, e di lì a poco, mentre le truppe si allineavano e la cavalleria si stringeva innanzi l’atrio dell’Annunziata, preceduta da un battistrada e da un picchetto di corazzieri, comparve la carrozza di S. Santità. Egli era col Re Ferdinando II di Napoli e la Regina, ed aveva un seguito numeroso di Principi, Monsignori ed Ufficiali.
Due compagnie di cacciatori e molti cavalieri facevano da scorta. Le grida di evviva e le musiche lo salutarono in una gloria di acclamazioni, mentr’ Egli spingendo dallo sportello la bella testa sorrideva e benediceva commosso. Nella chiesa dell’Annunziata prese l’acqua santa, che il monarca ricevette prostrato sulla soglia; assistito dal Cardinal Antonelli e da Mr. Borromeo porse l’incenso al Sacramento, e, dopo la Benedizione ed il bacio del piede al quale furono ammessi i sacerdoti, molti signori e signore, usci fuori incamminandosi verso la via della Civita.
Esortato il clero a ritirarsi per non subire il disagio del lungo viaggio, depose la cappa e la stola, e montò su d’ un cavallo bardato con staffe di seta bianca orlata di oro. Gli erano accanto il Tenente Colonnello Nunziante ed il maggiore Joungh.
Seguivano a cavallo il Re e la famiglia reale, il Cardinal Antonelli, Mr. Borromeo e Mr. Stella. Alla prima stazione il Papa intonò le litanie. I sacerdoti addetti al luogo, con a capo l’Arcivescovo, discesero un lungo tratto di strada per incontrarlo, mentre i Cardinali Ferretti e Piccolomini aspettavano sulla porta del luogo. Appena giunto, S. Santità baciò la soglia della chiesa, ciò che fecero anche i Reali, e andò a prostrarsi davanti l’Immagine.
Poi, celebrata la messa e comunicati gli astanti, volle contemplare da vicino il quadro e si trattenne lungamente ad ammirare lo splendido pano-rama. Per la premura espressagli dal Rettore lascio scritto su d’un foglio – che si custodisce gelosamente – le parole del Salmo, adottate con felice opportunità alla grandezza della nostra Sovrana dei cieli : «Gloriosa dicta sunt de Te, Civitas Dei. Die decima februarii 1849. PP. IX»: cioè: « Cose gloriose sono state dette di Te, o città di Dio. 20 febbraio 1849. PP. IX».
Oltre al calice con cui aveva celebrato, egli lasciò anche il piccolo obolo di dieci monete d’oro per una messa. Verso le ore 19,30 italiane, accettato un rinfresco, ridiscese a piedi, sino al piano d’Aita, tutta la strada disagevole. Indossava un mantello rosso con cappello a larghe falde.»
Il 25 giugno 1989 San Giovanni Paolo II per ricordare quello storico avvenimento e ancor più per venerare l’Immagine dell’Immacolata Madre di Dio davanti cui aveva pregato il suo predecessore arrivò pellegrino al Santuario dela Civita.
Accompagnato dall’Arcivescovo Mons. Vincenzo Maria Farano, dopo aver ricevuto il saluto dalle Autorità di governo, in una aria mistica e rarefatta, il Papa rimase inginocchiato in silenziosa e prolungata preghiera davanti l’Immagine della Madonna.
Quella mattina avevano trovato un posto speciale al Santuario i malati ed è proprio a loro che il Papa con speciale affetto rivolge il suo saluto personale.
Discorso del Santo Padre Giovanni Paolo II agli ammalati sul piazzale del Santuario della Madonna della Civita di Itri
Domenica, 25 giugno 1989
Signor ministro, signor sindaco di Itri, Cari fratelli e sorelle, carissimi ammalati.
1. Sono venuto su questo Sacro Monte per venerare la Vergine santissima nel suo santuario della Civita, così famoso e così ricco di significato per voi, che negli occhi di Maria e nel suo volto materno cercate conforto alle sofferenze fisiche e morali.
Seguendo le orme del mio predecessore Pio IX, a centoquarant’anni dalla sua visita, ho desiderato salire quassù anch’io, iniziando questa giornata, dedicata pienamente all’arcidiocesi di Gaeta, proprio da voi, membra sofferenti del Corpo Mistico della Chiesa. Eccomi, dunque, ai piedi di Maria, salute degli infermi e aiuto di tutti i cristiani.
2. Un saluto speciale vorrei rivolgere ai responsabili delle strutture sanitarie – amministratori, medici, infermieri, ausiliari, suore e volontari – come pure ai familiari dei sofferenti.
Vi esprimo il mio apprezzamento per la dedizione con cui vi sforzate di creare intorno ai malati, immagini viventi di Cristo sofferente, un ambiente familiare, accogliente, disteso. Voi sentite il dovere di portare calore umano nel vostro lavoro, vivendolo come “vera missione”, da fratello a fratello. Voi sapete, infatti, che chi soffre non cerca soltanto lo specialista capace di curare i suoi mali, ma anche l’essere umano capace di capire i suoi stati d’animo e di sostenere la sua lotta quotidiana, volta alla riconquista della salute.
In questo vostro impegno vi è anche di grande aiuto la fede, la quale vi consente di vedere nel malato i lineamenti del volto di Cristo. Non ha forse egli detto: “Ero malato e siete venuti a visitarmi?” (Mt 25, 36) Queste parole risuonino continuamente dentro di voi. Lui, che legge nel segreto, vi saprà ricompensare.
Non è forse già una ricompensa preziosa la riconoscenza dei vostri malati, i quali porteranno per sempre nel cuore il ricordo della vostra dedizione, della vostra serenità, della vostra delicatezza, oltre che della vostra competenza e dell’efficacia del vostro intervento terapeutico? Il vostro servizio, spesso lungo e logorante, ha un valore inestimabile davanti alla società e soprattutto davanti al Signore.
3. Cari ammalati, io vorrei soprattutto ringraziarvi per la vostri presenza; vorrei ringraziare per le parole di un vostro rappresentante che ha saputo fare una profonda analisi di ciò che vuole dire essere malato, essere malato da cristiano, essere malato dentro la situazione del mondo contemporaneo. Ringrazio per queste parole, per questa analisi che esprime anche i sentimenti, gli atteggiamenti e le speranze di tutti voi.
Io non sono venuto unicamente per portarvi il mio incoraggiamento umano, ma per recarvi anche e soprattutto il conforto della fede cristiana. Sono venuto per dirvi che le vostre infermità sono inscritte nel disegno d’amore paterno ed esigente di Dio. Non vedete in esse una fatalità cieca, ma una prova sempre provvidenziale, anche se dal punto di vista puramente umano spesso oscura ed incomprensibile.
Elevate i vostri occhi a Cristo, che ha accettato la prova della sua Passione. Guardate a lui, l’Innocente, che ha offerto senza riserva la sua vita per salvare tutti gli uomini, a lui che si è affidato a Dio, suo Padre, con totale abbandono. In un primo momento, come sapete, egli ha chiesto che gli fosse allontanato quel calice amaro, ma poi ha subito soggiunto: “Si faccia non la mia, ma la tua Volontà” (Lc 22, 42). E la sua sofferenza è divenuta per noi causa di salvezza, di perdono, di vita.
La vostra generosa unione con la sofferenza di Cristo costituisce il culmine del vostro credere. Coloro che sono chiamati a soffrire con Cristo non subiscono un castigo, ma sono messi a parte di un compito impegnativo e fecondo. La loro sofferenza, infatti, se accettata ed offerta con amore, diviene sorgente di grazia, di pace, di gioia. Diviene la via stretta, ma sappiamo che questa è la via che conduce al paradiso.
4. Carissimi ammalati, io vi auguro di recuperare presto la salute, per poter lasciare i centri di cura e tornare alle vostre case. Vi attendono gli abituali compiti familiari e sociali, nei quali tanto bene potrete ancora fare grazie alle energie ritrovate. Io prego per la vostra sollecita guarigione.
Ora, tuttavia, che nel libro della vostra vita il capitolo della malattia non è ancora chiuso, vi raccomando di valorizzarlo in ogni sua espressione. La sofferenza, infatti, è purificazione per sé e per i fratelli, è fonte di glorificazione, è dono offerto per completare nella propria carne “quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo Corpo che è la Chiesa” (Col 1, 24).
Il vostro soffrire sia pertanto dono alla Chiesa, perché essa possa camminare più speditamente sulle strade del mondo. Accogliere nella propria vita il mistero del dolore significa riconoscere che la salvezza fiorisce dalla Croce di Cristo, e la Croce di Cristo è il vero albero della vita.
La Croce però non è fine a se stessa. Al venerdì di Passione segue la domenica della Risurrezione. La sofferenza dell’uomo s’illumina nella prospettiva della Pasqua di Cristo. In mezzo al fitto buio delle umiliazioni, dei dubbi, dell’abbattimento che la malattia porta con sé, il credente trova conforto nella luce che splende sul volto di Cristo risorto. Perciò l’Apostolo scrive anche nella seconda lettera ai Corinzi: “Come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione” (2 Cor 1, 5).
5. Carissimi fratelli e sorelle, ci troviamo qui, presso questo caro santuario, anima della vostra devozione a Maria. Ebbene, nel portare la vostra croce quotidiana, sappiate guardare alla Vergine santa, ed ispirarvi al suo atteggiamento di totale adesione all’opera di grazia del Signore.
La risposta generosa di Maria: “Eccomi”, diventi espressione anche della vostra personale adesione, momento per momento, alla volontà di Dio; diventi la vostra risposta, suggerita ed alimentata dall’amore.
Se numerosi santuari come questo sono dedicati a Maria, è perché i fedeli di ogni parte della terra hanno capito l’importanza della presenza della Vergine santa in mezzo al Popolo di Dio; hanno capito che suo compito precipuo è di “presentare” alle generazioni di tutti i tempi il Cristo “ricco di misericordia”, perché ciascuno possa trovare in lui il Salvatore a cui affidare se stesso per il tempo e per l’eternità.
Prima di concludere questo mio colloquio, desidero augurare anche a voi, cari volontari delle diverse associazioni, qui presenti in numerosa rappresentanza, la prontezza e la generosità di Maria santissima nel rendere visibile agli uomini ed alle donne di oggi l’amore di Dio, che vuol dare a tutti la gioia della sua stessa vita.
Nel ringraziare tutti i volontari, voglio ancora ringraziare coloro ai quali è stato affidato questo santuario, i nostri carissimi padri passionisti, la loro comunità, il loro seminario, che ho potuto incontrare, prima, nella chiesa, nel santuario. Ed aggiungo anche una parola di ringraziamento ai giovani che compongono il coro, i quali ci hanno accompagnato con i loro canti, durante il lungo percorso dell’incontro con i malati.
Allora, mi sia permesso confermare il mio affetto e offrire un augurio di serenità nel corpo e nello spirito e come espressione di quell’affetto e di quell’augurio, voglio offrire a voi, a voi ammalati soprattutto, a tutti coloro che vi assistono, a tutti i vostri cari, le vostre famiglie ed a tutti presenti una benedizione; invito il Cardinale ed i Vescovi qui presenti a prendere parte a questa benedizione conclusiva del nostro incontro con Maria. © Copyright 1989 – Libreria Editrice Vaticana